domenica 24 febbraio 2019

Giorno del Ricordo

Il Giorno del Ricordo è stato istituito dal Parlamento italiano il 30 Marzo 2004. La legge stabilisce che ogni anno, il 10 Febbraio, vengano commemorate le vittime delle foibe: uomini e donne uccisi in Istria, Dalmazia e nelle provincie del confine orientale dai partigiani jugoslavi durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.

In tale giorno si ricordano anche i cittadini italiani che furono costretti ad abbandonare le loro case e i loro beni in Istria, Dalmazia e Fiume per sfuggire alle persecuzioni del nuovo governo jugoslavo del maresciallo comunista Josip Broz Tito.
Anche quest’anno (2019) dopo la Giornata della Memoria, il 27 Gennaio, è giunto il Giorno del Ricordo, il 10 Febbraio, rimembranza forse passata più in sordina rispetto alla prima citata.
Spero che chi, il 10 Febbraio, non abbia richiamato alla memoria i tragici eventi che sconvolsero le vite di moltissimi nostri concittadini, possa sfruttare questo semplice articolo per non dimenticarsene più.
La parola che ricorre con più frequenza quando si parla del Giorno del Ricordo è “Foibe”. Le Foibe sono, citando Wikipedia: “Dei grandi inghiottitoi (o caverne verticali, pozzi) tipici della regione carsica e dell'Istria. Le foibe non sono quindi dei particolari tipi di caverne come viene spesso, erroneamente, affermato, ma solo il termine con cui vengono indicati gli inghiottitoi carsici tipici della regione giuliana, che in tale territorio assumono spesso dimensioni spettacolari. Se ne contano circa 1700 in Istria.”. 

La scienza si ferma qui, tuttavia, dal punto di vista storico, le Foibe hanno un significato molto più terribile, ma cominciamo dall’inizio…

Durante l’inizio del XX secolo nei territori del Friuli, della Slovenia e della Croazia vivevano numerose persone di etnie diverse: italiani, croati, serbi, sloveni.
Con l’avvento del fascismo in Italia e con l’attuazione del processo di nazionalizzazione avviato da Mussolini in queste zone, si alimentò un diffuso malessere tra i cittadini non italiani che portò alla formazione di vere e proprie organizzazioni antifasciste filo-comuniste. Tutto ciò proseguì fino all’8 settembre 1943 quando venne diffuso dal maresciallo Badoglio l’armistizio dell’Italia; a questo punto si creò un vuoto di potere nei territori orientali italiani e le organizzazioni comuniste guidate dal maresciallo Tito acquisirono sempre più potere: fu in questo periodo storico che la strage delle Foibe ebbe inizio. Con il crollo del regime i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone.
Fino ad aprile del 1945 i partigiani jugoslavi erano stati fermati dai nazisti ma, con il crollo del terzo Reich nulla potè più fermare gli uomini di Tito. L’intento di quest’ultimo era quello di conquistare i territori che alla fine della prima guerra mondiale erano stati negati alla Jugoslavia; occupò Fiume e l’Istria, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscì ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste, grazie soprattutto all’arrivo tempestivo degli alleati che stavano risalendo e liberando la penisola Italiana. Nonostante ciò il massacro continuò nei territori conquistati, tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati.
Si stima che le uccisioni di italiani - nel periodo tra il 1943 e il 1947 - furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.

Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. L’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.
Questo comportò un esodo di massa dei cittadini italiani di queste zone, che dovettero abbandonare tutti i propri beni per emigrare in Italia o verso altre parti del mondo (Sud America, Australia, Canada, Stati Uniti). Il problema dell’esodo fu minimizzato dal governo italiano dell’epoca e gli i esuli non furono accolti come concittadini, ma furono emarginati e privati di ogni aiuto.
Questi mostruosi avvenimenti che coinvolsero migliaia di cittadini italiani rimasero confinati nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni; soltanto, infatti, con il crollo del muro di Berlino e la fine del comunismo sovietico (1989) alcuni presidenti della Repubblica italiana ruppero questo muro del silenzio recandosi nei luoghi protagonisti di questa atroce vicenda.

A poco a poco tutti noi siamo potuti venire a conoscenza della tragedia che coinvolse le terre orientali italiane fino ad arrivare all’istituzione, nel 2004, del Giorno del Ricordo.
Ad oggi, i testimoni che vissero sulla propria pelle tutte le tragiche vicende della seconda guerra mondiale, sono quasi scomparsi; è difficile quindi avere testimonianze forti e cariche di emozioni e di ricordi che soltanto chi ha vissuto certi avvenimenti può dare, e ancor più difficile è far conoscere a fondo alle nuove generazioni gli orrori dell’umanità che caratterizzarono il secolo scorso. Il compito di insegnanti ed educatori diventa infatti ancora più arduo: quando si tramandano oralmente dei fatti a loro volta raccontati da chi invece li ha vissuti, è difficile trasmettere le emozioni e le sofferenze che quelle vicende provocarono e, in questo modo, il ricordo si affievolisce fino a diventare trasparente. 

Per impedire ciò non bisogna solamente raccontare cosa è successo, ma è necessario che questi orrori entrino prima nella testa e poi nel cuore dei ragazzi, che li accompagnino durante tutta la loro vita e che influenzino ogni loro azione. 
Per alleggerire questo pesante e faticoso incarico si può e si deve far uso di libri, di lettere e testimonianze cariche ancora della disperazione e dello sconforto di "storie" passate, ma da non dimenticare.

Pietro Gambazza, ISA A

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